E’ di questi giorni la notizia che la Regione sta per firmare una convenzione con la Rai che permetterà il ritorno del sardo in radio e tv.

Bene, diremmo noi uomini di buona volontà. Ma se la notizia politica è questa, la realtà è un’altra. La politica dell’annuncio è utile infatti per tirare i titoli ai giornali, per prendere tempo e nascondere i ritardi, ma non consente di apprezzare la realtà delle cose.

La notizia vera infatti è un’altra: è cioè che se finalmente si addivenisse a questa firma, la Regione ci avrebbe impiegato un tempo inusitato: due anni e mezzo. E in tutto questo tempo abbiamo perso centinaia di ore di trasmissioni nella nostra lingua.

Quindi, quello che sembrava un annuncio trionfale è in realtà un’ammissione di colpa. Questa convenzione infatti non è una trovata dell’attuale governo regionale: i nostri governanti se l’erano ritrovata già pronta e finanziata nel 2014, potevano tranquillamente dare continuità e invece hanno fermato tutto.

L’ingresso storico del sardo in Rai, una piccola cosa ma di importanza simbolica, fu ottenuto nel 2008, regnante Renato Soru in compagnia dell’assessora Maria Antonietta Mongiu.

Non ebbe importanza secondaria il lavoro svolto da Romano Cannas, allora direttore regionale della sede Rai. L’iniziativa poi continuò a prosperare per tutti i cinque anni della Giunta Cappellacci, fino a quando è stata bloccata dal Governo Accademico che regge le sorti della Sardegna.

Perché? A mio parere il tutto è coerente con il disegno di questi uomini di governo, e dei loro colleghi rimasti nelle facoltà, di bloccare il processo di consolidamento del sardo come lingua ufficiale. Ma di questo, che è una opinione mia personale, ne discuteremo in altre occasioni.

Torniamo ai fatti.

In realtà questa convenzione regionale da 200.000 euro all’anno, che è rimasta nei cassetti per quasi 3 anni, è una cosa piccola, un escamotage per permettere comunque, in un momento storico difficile, l’ingresso storico del sardo nella programmazione e creare un precedente. E inoltre ha il difetto che la paghiamo noi dalle casse regionali.

L’obiettivo vero è quello invece di essere ricompresi tra le lingue tutelate nella convenzione statale Rai-Governo (detta Contratto di Servizio) come il tedesco, il ladino, lo sloveno, il francese e il friulano (che a livello di tutela costituzionale è pari a noi). Potrebbe arrivare circa un milione di euro all’anno a spese dello Stato.

Nonostante questo sia un nostro diritto dal 2001 (per legge) ancora non si è fatto niente adducendo mille scuse. La ragione vera però è il disinteresse della classe di governo sarda.
Sempre per restare ai fatti quando nell’estate del 2015 la legge per la Rai è passata in Parlamento, i senatori sardi del PD hanno votato contro il riconoscimento della nostra lingua. La Giunta Regionale ha persino protestato e si è strappata i cappelli per questo, ma non so con se avesse la coscienza a posto, visto che ci mette poi due anni e mezzo per annunziare un’iniziativa che era stata già fata e a cui bastava solo dare seguito.

Gli stessi senatori colti in fallo avevano promesso che entro il 2016 la nostra lingua sarebbe stata accolta in Rai. Nessuno se ne è accorto. Ora si torna agli annunci, e speriamo, da uomini di buona volontà, che si traducano finalmente in fatti concreti. Anche se non abbiamo più grandi speranze dopo tutti questi anni buttati al vento.

Tutti sanno ormai che a questo governo regionale della lingua sarda gliene importa poco. Infatti, il suo pressing sul governo centrale su questo tema è inesistente. Si fanno propaganda e annunci per prendere tempo e condizionare l’opinione pubblica.

I professori non parlano la lingua e non ne parlano. Non è un problema strategico per loro, anzi li può danneggiare proprio perché non la parlano e tantomeno la scrivono.

La notizia insomma non è che il sardo, forse, torna in Rai. Ma che in due anni e mezzo non sono riusciti (o non hanno voluto) firmare una piccola convenzione che era già pronta dal 2014.