Lo avete notato? Lo slogan più usato da quelli del fronte del Sì al referendum del 4 dicembre è: “Vuoi ridurre i politici?”. E poi: “Vuoi risparmiare sui costi della politica?”. E ancora: “Vuoi velocizzare l’iter delle leggi, eliminando ogni lungaggine?

Mi sono chiesto molte volte, in questi giorni, se ci fosse davvero il bisogno di cambiare la Costituzione, per arrivare a questi obiettivi.

E se ci fosse davvero il bisogno di cambiarla in questo mondo. A volte mi sono pure chiesto – perché il germe del dubbio non va mai estirpato del tutto – se non fosse il caso di provare a capire le ragioni di chi è pro-riforma.

Ma c’era sempre qualcosa che non tornava. Almeno fino a quando non mi sono ricordato di una vicenda, di un nome e di un cognome.

La vicenda era quella della spending review e il nome e cognome quello di Carlo Cottarelli.

Chi è? È il funzionario del Fondo monetario internazionale che il presidente Enrico Letta – fugace premier tra il 2012 e il 2013, quello dell’Enricostaisereno – fece tornare con l’incarico di fare luce sul pozzo senza fondo dei conti pubblici italiani, con il successivo mandato di alleggerirli.

Com’è finita? Renzi-imperante, a fine 2014, se n’è tornato di volata a Washington. Non prima di aver spiegato tutte le difficoltà e le scarsa collaborazione che ha trovato da parte della macchina dello Stato.

Ecco alcune delle sue impressioni, raccolte in quell’occasione dal Corriere della Sera.

«Me ne vado perché qua nessuno vuole davvero cambiare le cose. C’era un sistema di tagliafuori, alla fine, che ci aveva fatto diventare ostaggi della burocrazia. Anzitutto il sistema dei capi di gabinetto. Si conoscono tutti tra loro, parlano tutti lo stesso linguaggio. E i capi degli uffici legislativi: hanno in mano tutto e scrivono leggi lunghissime, difficilmente leggibili. Costituiscono un gruppo omogeneo, in cui è difficile entrare, con cui è difficile interagire. Spesso molti documenti non mi venivano dati. Non per cattiva intenzione, ma perché non facevo parte della struttura. Dopo una, due, tre settimane venivo a sapere le cose. Questa è stata un’enorme difficoltà».

E poi il caso auto-blu: «Quando ho discusso col ministero della Difesa dell’opportunità che alcuni ufficiali superiori rinunciassero all’auto di servizio, ho scoperto che esiste un regolamento dell’Esercito e della Marina, ma non dell’Aviazione, che impedisce ai militari in divisa di andare in giro con l’ombrello. Non potendosi bagnare, devono prendere l’auto».

E ancora il mitico è intoccabile mondo degli “uscieri”.  «I commessi. Molti, oggi, non hanno un vero lavoro da svolgere, stanno seduti alla scrivania nei corridoi ministeriali. Una volta mi hanno spiegato perché questi enormi corridoi non possano essere ristretti, razionalizzando gli spazi. Per la presenza dei suddetti commessi, che stanno lì a fare niente».

Passando per la mai attuata riforma dei Corpi di Polizia:  «La riforma sta nella legge delega sulla riforma della Pubblica amministrazione. Il percorso scelto è stato questo, non so per quale motivo. Ed è un percorso lento».

Fino ad arrivare alle inevitabili pensioni d’oro: <È chiaro che c’è stata la scelta politica di non di non incidere sulle pensioni. Il ruolo del commissario è avanzare proposte. E io non potevo non farlo in un’area, le pensioni, che tocca i 270 miliardi. È una cifra semplicemente troppo grossa per ignorarla>.

Negli ultimi cinque anni i commissari per la spending review sono stati quattro e tutti, per un motivo o per l’altro, hanno dovuto gettare la spugna: Giarda e Bondi (nominati da Monti), Cottarelli (Letta) e Perotti (Renzi).

L’Italia è un Paese che non riesce a controllare i suoi conti con leggi ordinarie, delibere, regolamenti e circolari. Possiamo davvero credere che la finalità ultima della riforma della Costituzione siano i 50 milioni di risparmio annui sulle indennità dei senatori?

Potrebbe al massimo essere la prima goccia nell’oceano. Ma forse sarebbe stato necessario arrivare al voto avendo le carte in regola anche in questo capitolo.