Il compito della politica per sua missione dovrebbe tendere a elaborare visioni possibili, realizzabili sulla base dei bisogni dei cittadini. E’ noto però che questa nobile funzione vive uno stato di crisi che avanza da diversi anni.

Accade così che il suo compito viene delegato ai tecnici, veri ispiratori e attuatori delle scelte politiche. L’esempio sotto gli occhi è davanti a noi con la giunta regionale in carica che non ha prodotto crescita e stenta a mantenere l’esistente sul piano del lavoro reale.

L’altra considerazione abbastanza evidente, conseguenza diretta della prima, è la seguente: il ceto politico che si è affermato in questo ventennio non è stato in grado di compiere azione di contrasto delle emergenze che penalizzano la società sarda: tramonto del settore industriale, crescita della disoccupazione, diffusione dell’assistenzialismo mortificante, declino costante dei piccoli paesi.

I motivi di questo cambiamento in negativo sono molteplici: c’è la mancanza di cultura politica, l’assenza della capacità di analisi e di visione futura del territorio sulla base dei bisogni dei cittadini. Il compito della politica in grado di interpretare i bisogni presenti nei vari territori con i valori della competenza e della onestà, è stato delegato ai tecnici, veri ispiratori e attuatori delle scelte politiche.

I tecnici come “missi dominici”
I tecnici hanno sempre più preso il sopravvento sulle idee della politica con la finalità nobile di delineare scenari percorribili e raggiungibili; hanno assunto il ruolo di “missi dominici” che osservano il territorio, lo sezionano, ne pianificano l’uso al di là delle esigenze reali; ipotizzano scenari con calcoli statistici e matematici che proiettano nel futuro sempre lontano bisogni irreali; calano nei territori linee di presunto sviluppo; le suggeriscono alle associazioni di categoria, che le dovrebbero recepire ovunque: nelle aree metropolitane e nei piccoli centri, nelle aree costiere e negli spazi agricoli. L’idea politica, in senso nobile, passa così in secondo piano, subalterna al volere della tecnocrazia, al potere spietato degli indicatori economici che impone austerità, cala limiti allo stato sociale, nega il futuro alle giovani generazioni, relegate nel limbo della inoperosità e della assenza di gratificazione. La cinica faccia del potere è anche questa: tanto più è nascosta quanto più è condizionante. In molti cittadini è rimossa la coscienza del ruolo attivo di questo potere, che suggerisce direttive a livello europeo, nazionale, regionale e locale. Tutto è tenuto così da una rete invisibile che a volte copre e, nei casi estremi, annulla il soggetto politico, condizionando in questo modo il ruolo ed il significato della democrazia, ridotta in questo caso a pura apparenza con esercizio lessicale fuorviante. Il volto cinico di questo potere nascosto appare sempre di più con gli effetti devastanti dell’assenza del lavoro reale e della crescita dell’esercito dei giovani ai quali è negato il diritto a partecipare con il lavoro al vivere in società.

Un ceto politico gregario
Succede anche che il vuoto di idee nella politica viene colmato dalla entrata in scena di un ceto politico gregario ed autoreferente, che è separato dai bisogni della comunità. Si attacca alle risorse dello Stato e della Regione. Spesso divide il territorio in micro-enti di governo, che di fatto non praticano l’esercizio di governo ma si autoaffermano come ceto che vive in quanto sta negli esecutivi dei micro-enti, che si nutrono di risorse finanziare sia nel livello alto che in quello medio e basso della burocrazia; a volte capita di sentire che tutto ciò è il “costo della democrazia”. Di fatto si propagandano dinamiche di sviluppo che non vengono messe in moto, progetti che restano campati per aria. Tutto, spesso, è presentato con la collaborazione delle equipe di progetto, con un linguaggio vuoto di contenuto, che ha come unico scopo quello di suscitare aspettative che si riveleranno inconcludenti. Spesso accade di leggere, infatti, quando dall’opinione pubblica avvertita e critica sale la richiesta dei perché del mancato realizzo di un progetto impossibile proposto da un ente, che la causa del fallimento viene indicata nell’Ente Superiore, che nel caso specifico non avrebbe messo a disposizione per tempo le risorse necessarie a incentivare lo sviluppo. Si moltiplica così un parlare vuoto di senso, madre che genera in seconda fase scarsa partecipazione da parte dei cittadini ai fatti della politica in senso puro.

L’urgenza di una ribellione culturale con un Soggetto Politico contro il succursalismo della partitocrazia
Nel tirare le somme di questa riflessione, occorre riconoscere che di fatto viene prodotta sfiducia e quindi scarsa partecipazione ai fatti della politica come manifestazione di interesse collettivo. Non solo: si accentua il distacco tra il cittadino e l’ente governante. Che diventa presenza inefficace e sviante nel territorio in cui dovrebbe operare. Accade così che il potere è delegato solo sul piano formale ed è assente ogni capacità di incidere. Così è stato anche a livello più alto quando lo Stato ha delegato poteri al ceto politico regionale e alla Regione come istituzione. L’ordinamento regionale avrebbe dovuto promuovere lo sviluppo democratico ed organico con le esigenze di giustizia sociale dei sardi e delle masse popolari tenute durante il fascismo lontane dalla partecipazione alla vita democratica. Di fatto si è accentuata la dipendenza economica, mentre i principi dello Statuto sardo sono stati oscurati e svuotati del loro significato innovatore e generatore di cambiamento globale nella politica, nella cultura e nell’economia sarda. Essere protagonisti oggi significa invertire la tendenza a frammentare, a dividere all’interno della società civile la coscienza della sardità, madre del pensiero del sardismo, una visione originale e sempre moderna, che superi la divisione delle classi nelle aree marginali, dove le necessità attendono un Soggetto Politico, contrario al succursalismo della partitocrazia egemone e in contrasto con la supremazia delle strutture economiche e il dominio del potere del profitto, che calpesta i bisogni delle piccole patrie come la Sardegna.

Post scriptum
Un ulteriore esempio di questa condizione di subalternità viene fuori analizzando quanto è accaduto in queste settimane in merito alle aree industriali di crisi non complessa. La giunta regionale dei tecnici ha recepito gli indicatori socio-economici elaborati dall’Istat e calati in Sardegna. Risulta così che alcuni territori in crisi sono stati premiati e ritenuti meritevoli degli incentivi a favore delle piccole imprese, mentre altri territori, in crisi come la zona industriale di Siniscola, sono stati esclusi. E’ accaduto anche che non sono state condivise all’interno della maggioranza governante nella regione sarda le parole di dissenso del Partito dei Sardi motivate sul piano politico per questa frammentazione che penalizza l’intera Sardegna.