Un presidente del Consiglio non è un commentatore da social.

Non è (o non dovrebbe essere) un avventuriero, uno che lega il suo futuro politico a una riforma pasticciata e per niente epocale.

Avremmo capito se si fosse trattato di un qualcosa di veramente dirimente sul funzionamento della Repubblica, sulla sua organizzazione sociale, sulle modalità della sua presenza in Europa.

Ha invece sintetizzato bene il vecchio saggio Camilleri, nelle sue interviste a Corriere e Repubblica: “Renzi non è un buon presidente del Consiglio. È un giocatore avventato e supponente. Mi fa paura quando racconta balle: ad esempio che il futuro dei nostri figli dipende dal referendum. Mi pare un gigantesco diversivo per realizzare un altro disegno. Pur di votare No mi sottoporrò a due visite oculistiche, obbligatorie per entrare nella cabina elettorale accompagnato. Io le riforme le voglio: il Senato deve controllare la Camera, non esserne il doppione. Ma questa riforma è pasticciata. E non ci consente di scegliere i nostri rappresentanti”.

Il problema è esattamente questo: sia che vinca il Sì, sia che prevalga il No, il 5 dicembre il sole tornerà a sorgere. Nel primo caso le fontane non stilleranno latte e nel secondo caso dal rubinetto non uscirà fango. Almeno non più di quanto già ne sgorghi oggi, in alcune zone della Sardegna.

Non c’è niente, in questa riforma, che farà del bene ai nostri figli: né immediatamente, né in prospettiva. Semplicemente perché non affronta i temi dirimenti legati ai ritardi strutturali dell’organizzazione statuale italiana e perché non incide – né nessuna riforma potrebbe farlo – sulla cultura del malgoverno che viaggia sulle gambe degli uomini.

Cosa cambierà, se vince il Sì, a proposito della politica di De Luca, in Campania? Leggete il Corriere di oggi per capire cosa si sta muovendo, a livello di clientelismo, voto di scambio e corruzione strisciante, per mobilitare i territori verso il voto favorevole.

Aggiungete i tour-mancia di Renzi e provate a pensare se questo è il futuro che volete per voi e i vostri figli: voti in cambio di soldi, di promesse, di diritti spacciati per favori?

Provate a immaginare cosa possa significare per un giovane e vecchio sindaco di area Pd ricevere la telefonata di un commissario regionale del partito, che ti chiede di impegnarti, di metterci la faccia, anche se non condividi, perché poi il partito si ricorderà di te. E con il partito, magari, anche la Giunta regionale.

Sono questi i prodromi di una riforma epocale?

È vero, invece, che rischia di creare ancora più confusione istituzionale.

Ed è vero che si rischia di archiviare la separazione dei poteri legislativo ed esecutivo, assegnando a quest’ultimo una golden share che oggi, con l’attuale maggioranza, potrebbe anche essere usata in maniera responsabile.

Ma qualcuno può mettere la mano sul fuoco sul grado di responsabilità dei prossimi vincitori delle elezioni?

Chi oggi si straccia le vesti per la vittoria di Trump negli USA, quali contromisure intende assumere? Cioè, è disposto a concedere al prossimo vincitore delle elezioni di poter spadroneggiare su Camera e Regioni, senza veri contrappesi?

Questa è una domanda inquietante, poco dibattuta.

La verità? Renzi dopo le trionfanti europee ha tentato l’All-in, con Italicum e riforma costituzionale. Se gli fosse andata bene, avrebbe posto le basi per un governo di prospettiva ventennale. È stato tradito dalla sua faciloneria e dalla mancata ripresa economica, oltre che dalla sostanziale ingovernabilità del mostro burocratico in cui si è progressivamente trasformato lo Stato.

Ecco perché in gioco, il 4 dicembre, non c’è il futuro dei nostri figli (minacciato da ben altro e altri, compresi molti finanziatori della campagna per il Sì), ma molto ben più banalmente quello di Renzi e del suo giglio magico.