Su “Cortes Apertas” stiamo delineando un aspetto edulcorato della realtà, la quale non è per niente incoraggiante, e faccio riferimento a vari aspetti del “fenomeno”.

Dal punto di vista antropologico, siamo di fronte ad una rielaborizzazione della realtà, abbastanza artificiosa, tesa a rivalutare antiche culture, e sensi di apparteneza che di anno in anno sono sempre più logore e minacciate dalla politica regionale accentratrice.

È triste assistere allo spettacolo dei Barbaricini che sempre più privati dei servizi essenziali, trovino utile e dignitoso, prestarsi ad un simile gioco.

Parlo di finzione, a vantaggio del turismo spettacolo, fatto di apparenza e finzione.

L’aspetto economico è un quadro ancora più allarmante, si assiste silenti alla mistificazione dell’ospitalità, con quintali di materie prime reperite dal grande pozzo a buon mercato della globalizzazione, quintali di piatti e posate in plastica, carne e salumi di oltre mare, pessimo vino sfuso, code chilometriche per disputare un servizio igienico.

L’attesa messianica di un evento che dura due giorni, esalta le aspettative di comunità povere di danaro e spirito, sempre più soggiogate dal meccanismo dell’assistenzialismo, che riescono a trovare conforto emotivo da un fiume demotivato di persone che viene a visitarci una volta all’anno senza saperne spesso il vero motivo.

Prima di fare sagre e feste, dovremmo ridiventare produttori, rifare le cose buone, e solo dopo questo passo chiamare le orde dei mangioni, è una questione di etica ed onestà intellettuale.