Il formalismo giuridico come strumento di campagna referendaria. Perchè non è vero che la Sardegna rischia di restare senza senatori.

Da qualche giorno i social network sono pieni di rimandi a un presunto errore del legislatore della riforma costituzionale, in conseguenza del quale la Sardegna sarebbe impossibilitata a nominare i propri senatori, salvo previa modifica del proprio statuto speciale.

Quest’ultimo passaggio serve ai sostenitori del NO a argomentare che la modifica farebbe perderebbe alla Sardegna quella tutela rafforzata della propria autonomia che le viene garantita, unitamente alle altre regioni a statuto speciale, dalla stessa legge di riforma costituzionale.

Questo complicato castello di accuse è, a mio avviso, soltanto un sofisticato ma inconsistente tentativo di fare campagna elettorale per il NO, giocando su interpretazioni improntate a un formalismo eccessivo, promosse ad arte per rafforzare la narrativa della presunta maggiore complicazione introdotta dalla riforma nel sistema.

Ma partiamo dall’inizio.

La legge di riforma della Costituzione all’art. 39, par. 13 (disposizioni transitorie), stabilisce che non si applicano alle Regioni Speciali le previsioni del CAPO IV della stessa legge (che corrisponde alle modifiche al solo titolo V della Costituzione: quello riguardante le competenze de “Le Regioni, le Città Metropolitane e i Comuni”), sino a revisione degli Statuti speciali da effettuare “d’intesa” con le Regioni.

La necessità di una “intesa”, non prevista nell’attuale testo costituzionale, rafforza (seppure all’interno di una riforma che trasferisce competenze dalle Regioni ordinarie allo Stato, rettificando alcuni eccessi della riforma del 2001) l’autonomia delle Regioni Speciali, il cui statuto in vigenza della nuova Costituzione non potrebbe essere cambiato se non con l’accordo della Regione.

Con questi presupposti la revisione futura dello Statuto potrebbe essere occasione per ottenere anche maggiore autonomia dallo Stato in determinati settori, e/o negoziare importanti “concessioni” (riguardo le servitù militari ad esempio).

Il nuovo Senato è modificato dal CAPO I (dunque non rientra nella deroga di inapplicabilità della riforma alle Regioni Speciali) della legge di riforma costituzionale (e in particolare dall’art. 3, che modifica l’art. 57 della Costituzione), nel nuovo testo del quale è previsto espressamente che i “Consigli regionali […] eleggono […] i senatori fra i propri componenti”.

L’art. 17 dello Statuto Speciale per la Sardegna attualmente in vigore prevede, invece, che “l’ufficio di consigliere regionale è incompatibile con quello di membro di una delle Camere”.

Si tratta di due norme di pari rango (introdotte entrambe da legge costituzionale), la norma cronologicamente successiva (la legge di riforma della Costituzione) abroga quella precedente (lo Statuto Speciale).

Posta in questi termini è facile intuire come la questione sia di piuttosto semplice da risolvere in via interpretativa: la definirei più una abrogazione “esplicita” che “implicita”, per certificare la quale ritengo non ci sia c’è neppure bisogno di un passaggio dal giudice.

Qualcuno sostiene che lo Statuto sarebbe una norma “speciale” rispetto alla Costituzione, e dunque la norma successiva generale non prevarrebbe sulla norma precedente speciale (non sto qui a invocare i due brocardi latini per non complicare la vita a chi legge).

Il ragionamento non mi convince. Innanzitutto perché Costituzione e Statuto sono entrambe leggi che disciplinano fattispecie “generali”, al cui interno sono presenti due disposizioni “speciali” che disciplinano l’incompatibilità tra gli uffici di membro del parlamento e membro del consiglio regionale.

La stessa incompatibilità era, infatti, prevista in via generale dal precedente testo dell’art. 122 della Costituzione, che la riforma rimodella, limitando l’incompatibilità alla Camera, in coerenza con il disegno istituzionale del nuovo Senato.

Di conseguenza, mi pare forzato invocare – tra le due disposizioni regolanti l’incompatibilità in due contesti territoriali distinti – il principio di specialità.

Non si può poi prescindere, nella interpretazione di questa presunta antinomia (contrasto tra norme), dal fatto che è lo Statuto Speciale stesso a specificare come generale parametro interpretativo la propria “armonia” con la Costituzione (si veda in generale l’art. 3 statuto speciale e, con specifico riferimento alla legge Regionale che determina i “casi di ineleggibilità e di incompatibilità”, l’art. 15).

Di conseguenza, tra due possibili interpretazioni dello Statuto, una che consente di tutelare l’armonia dello stesso con la Costituzione, e una che lo pone in contrasto, prevale necessariamente quella “costituzionalmente orientata”.

La Corte ha già affrontato diverse volte problematiche affini, e le ha sempre risolte in questo modo (il caso forse più affine, non chè uno dei più noti, è quello riguardante lo Statuto Siciliano in rapporto alle Compentenze dell’Alta Corte della Regione: sentenza C.Cost. n. 38 del 1957).

Come anticipavo, a mio avviso solo un approccio eccessivamente formalistico consente di sostenere l’esistenza di un contrasto problematico.

Non credo, invece, occorra alcuna pronuncia giurisdizionale per risolvere quella che, dal mio punto di vista, è una semplice successione delle leggi nel tempo: la riforma abroga necessariamente la parte della disposizione statutaria che prevede l’incompatibilità tra l’ufficio di Consigliere Regionale e quello di Senatore (la norma dello Statuto Speciale è, infatti, in palese contrasto con un Senato espressamente costruito per essere formato da consiglieri regionali e sindaci).

In ogni caso, anche se il problema venisse sollevato, l’art. 73, comma 2 del testo di Costituzione nel testo introdotto dalla riforma prevede che sulle leggi elettorali di Camera e Senato possa essere chiesta la pronuncia preventiva alla Corte Costituzionale, la quale – a mio avviso – non potrebbe che interpretare le norme nell’unico modo “ragionevole”.

Ciascuno è quindi libero di formare la propria opinione per il SI e per il NO, decidendo sulla base delle tante fondate ragioni di merito che supportano le rispettive posizioni (io, personalmente, trovo ampiamente prevalenti quelle per il SI), senza temere che la Sardegna, in caso di una vittoria del SI, venga, alternativamente, privata del diritto di nominare Senatori oppure della propria specialità (in uno scenario – peraltro di difficile attuazione – che la vedesse costretta a una “intesa” affrettata per nominare i senatori).

A mio avviso questo di cui ci siamo occupati in questi giorni è – per dirla in modo molto chiaro – un falso problema.

*Avv., Ph.D.