Discutiamo su un intervento pubblicato come commento al nostro post sull’articolo di Simon Mossa, datato 1956.

____________________

Parole, parole e parole, ecco quanto siamo capaci di fare, non solo ma anche parole contrastanti, incapaci di fare sinergia, quella sinergia che i nostri nonni, per sperare di riuscire a tornare a casa dall’inferno del Carso, avevano coniato sapientemente con Forza Paris.

Visto che si parla di turismo come ultima spiaggia (e concordo) vorrei fare una considerazione terra terra: Cortes Apertas. Una geniale intuizione che però sta diventando tutt’altro.

Nate per creare ospitalità lungimirante e produttiva, sta divenendo purtroppo, nella stragrande maggioranza dei casi, bancarelle per mangiare panini e purpuza (manco prodotta in casa) a discapito della qualità e degli esercizi locali che dal mangime cercano a fatica di trarre sostentamento.

Le osannate presenze non devono trarre in inganno. Salvo rare eccezioni, ben individuabili (dove il discorso di fondo è sempre produttivamente in itinere), si tratta di bascaramene..

Cosa intendo dire? Che non abbiamo una cultura. Una cultura innanzitutto di appartenenza e che, proprio da quell’appartenenza, dovrebbe trarre le giuste motivazioni sul “da farsi per riuscire diventare grandi”, sempre che lo si voglia per davvero.

La classe politica è stata, purtroppo, sempre di scarso valore. Hanno fatto disastri, sempre ed ovunque, e oggi ne stiamo piangendo le conseguenze perché siamo ancora all’anno zero, forse peggio se ci mettiamo a contare le occasioni perse.

Per “obbligare a crescere” i rispettivi votanti/questuanti (perché è proprio di quell’obbligo che abbiamo bisogno per crescere e liberarci dalla tirannia del politico amico), dovrebbero fare Forza Paris (in Sardegna e in Italia) per arrivare finalmente, con tutti i mezzi che la democrazia mette a disposizione, ad “abbattere l’isolamento” che vorrebbe dire continuità territoriale e parità di spesa energetica con il resto della nazione.

Una volta realizzato quel sogno e messe in ordine le vie di comunicazione isolane, tutte e non alcune soltanto, il passo successivo dovrebbe essere quello di chiudere tutti i cordoni delle borse, eliminare i fazzoletti che consentono di piangerci addosso, e dire “E COMMO TRUNCAEBOS CASU”, vale a direi: cominciate a darvi da fare che le risorse ci sono, perché grazie a Dio quelle ci sono sempre state.

A quel punto sono convinto che, se pur a fatica, avrebbe inizio una rinascita culturale e sociale, efficace, motivata dal detto che il bisogno mette il cavallo zoppo a correre.

Se non dovesse bastare manco quello, beh, allora bisogna arrendersi e considerare che siamo quelli che siamo, vale a dire quei sardi che, al ritorno dei piemontesi, dopo la “gloriosa cacciata” (che noi festeggiamo con orgoglio come “sa die de sa Sardigna”), staccarono i cavalli dalla carrozza reale per trasportarla a forza di braccia dal porto al palazzo reale.