La Sardegna è veramente un’isola sconosciuta.

Ma, innanzi tutto, è sconosciuta agli stessi sardi che, per una abitudine direi quasi “scolastica”, fin da fanciulli ignorano la propria terra e fanno a gara per disprezzarla.

Vi è un quid dovuto a un particolare genere di cultura della nostra classe media, alla quale in fin dei conti è affidato l’insegnamento anche nei centri più isolati, che ostacola ogni ricerca di accostamento a quelli che sono i problemi della Sardegna.

Il troppo lungo servaggio ha fatto sì che i sardi non sentano affatto il desiderio di conoscere e di amare, soprattutto, la loro piccola patria.

Gente orgogliosa, non sente l’orgoglio di essere sarda.

D’altronde, nella millenaria abitudine di farsi risolvere tutti i problemi – da quelli generali a quelli di natura privata – da chi sta in alto, dal vescovo o dal giudice, da Roma o da Madrid, non importa, i sardi hanno perduto completamente quello spirito di campanile che li avrebbe portati a conoscere e ad amare la Sardegna.

Che cosa ci si può aspettare dall’alto o dal di fuori? Niente, immagino. Esclusi, naturalmente i soliti contributi e gli incoraggiamenti verbali sempre di moda. Ma il continuo lamentarsi che fanno essi di abitare in una terra sconosciuta lo trovo assolutamente fuori luogo.

IL PROBLEMA

Perché si deve cominciare dal di dentro. Si deve avere una coscienza turistica. Si deve comprendere, una volta per tutte, che il turismo – oggi attività marginale e di nessuna importanza economica in Sardegna – potrebbe diventare una industria redditizia e con riflessi socialmente positivi inimmaginabili.

Ma essa, come tutte le industrie impiantate con criteri moderni, non può sorgere senza quella coscienza e senza un’accurata preparazione tecnica di tutti coloro – e sono molti – che direttamente o indirettamente potrebbero domani trarne beneficio.

Ora la base di tutto ciò è una ampia e profonda conoscenza della propria terra insieme con la convinzione che detta conoscenza possa trasformarsi in fattore economico.

Non occorre appellarsi alle statistiche per il movimento dei forestieri in Italia e in altri paesi europei per comprendere come il turismo rappresenti una voce tutt’altro che secondaria nella bilancia commerciale dei singoli Stati.

L’ECONOMIA

Voce che diventa sempre più importante a mano a mano che aumenta il numero dei viaggiatori e diminuisce, nel contempo, la potenzialità di spendita del singolo e il costo dell’ospitalità.

Il turismo è diventato, specie dopo la guerra, movimento di massa e proprio per questo esso costituisce un cespite notevole ovunque.

Ora la nostra povera Isola, economicamente assai arretrata, potrebbe trovare nel movimento dei forestieri non il tocca sana, ma un aiuto massiccio nello sfruttamento delle sue risorse, specie di quelle come il clima mite e la bellezza dei suoi paesaggi, che non verranno mai meno.

Si afferma da più parti che la causa dello scarso afflusso di forestieri in Sardegna è dovuto soprattutto alla lontananza di essa dalla terraferma da un lato e dalla leggenda che i sardi siano rudi, inospitali e “banditi”. La lontananza, in questi tempi, non può essere una causa negativa.

Lo dimostra l’afflusso ininterrotto di turisti tanto in Corsica come a Mallorca e a Ibiza, al quale né la distanza dal continente né il costo dei trasporti costituiscono ostacolo rimarchevole. Il secondo punto, quello della rudezza dei sardi, potrebbe ancora essere giustificato, ma tuttavia non determinante.

L’ISOLA TAGLIATA FUORI

La realtà è, a mio avviso, un’altra. Ed è senz’altro l’odioso fenomeno della concorrenza – da un lato – esercitata senza pudore dalle altre regioni per mezzo delle agenzie del movimento forestieri, la mancanza di un’attrezzatura ricettiva adeguata – dall’altro – che ostacolano un normale afflusso turistico.

A ciò si deve aggiungere la difficoltà del viaggio marittimo ed aereo che costringe il viaggiatore a numerose soste di là e di qua dal mare, spingendolo spesso a mutare il programma e l’itinerario di viaggio.

In effetti questi ostacoli valgono soltanto per un turismo povero, per un turismo di operai e impiegati che trascorrerebbero volentieri le ferie estive e primaverili sulle nostre spiagge, ma non per i “turisti di qualità”, per i turisti ricchi, insomma.

Questo punto di vista, così diffuso in Sardegna ove, terra di poveri, non si ama trattare con “gli straccioni” d’oltremare, è certamente erroneo. Ripeto che il movimento dei forestieri è oggi in Europa quasi monopolizzato da chi può spendere poco e vuole viaggiare molto.

E siffatto genere di turismo è incoraggiato da tutti i governi che, per mezzo di enti statali di propaganda, affogano gli ignari abitanti di città lontanissime con manifesti, pieghevoli e altri aggeggi multicolori ove sono sempre indicati in evidenza i prezzi base dei trasporti e del soggiorno in determinate località.

LA VOCAZIONE SARDA

Pensare oggi che la Sardegna diventi una seconda Monaco o una Biarritz mediterranea ci sembra un assurdo e un anacronismo.

Nell’Isola si è proceduto e si procede a tentoni, incoraggiando soltanto parzialmente l’iniziativa privata nello specifico campo turistico ed evitando l’impostazione organica di un piano a largo respiro per lo sviluppo generale di questa nuova attività non in determinate località ma nell’insieme del territorio.

Non ci si è resi conto, negli ambienti responsabili, che il turismo per diventare una forza economica deve essere controllato, incoraggiato e soprattutto guidato secondo schemi ben precisi derivati da uno studio sistematico delle possibilità offerte da una terra così varia e ricca di sorprese.

Si è infine dimenticato, negli stessi ambienti, che l’avvenimento della nuova industria è molto lento, richiede moltissimi anni di sacrificio e di delusioni, per cui diventa economicamente redditizia soltanto quando nei diversi settori e in tutto il territorio dell’Isola si sono risolti in modo uniforme i problemi principali, che sono: alberghi, locali pubblici, telefoni, distributori di benzina, uffici e agenzie di viaggio, attrazioni locali varie (in particolare quelle folkloristiche).

LA DISORGANIZZAZIONE

Oggi si fa una propaganda irrazionale e dispendiosa senza coordinare contemporaneamente le attività locali, specie quella degli albergatori e delle agenzie, per cui il turista, attratto dal mistero di quest’isola silenziosa, pur apprezzandone le bellezze, il clima e il cibo, si trova disorientato e compie i suoi giri affrettatamente aspettando con ansia il momento del reimbarco.

Tutto ciò è controproducente e tende a stabilizzare lo scarsissimo afflusso di oggi, in naturale aumento, a un livello irrisorio. Vediamo continuamente che un po’ di organizzazione – nel campo di privati, agenzie od enti – crea immediatamente un afflusso costante di turisti.

Cito soltanto la Horizon Holiday, il Village di Caprera, il ferry dell’Autoclub. È da troppi anni che si procede per tentativi e con soluzioni contingenti.

È da tempo ormai che “in alto loco” si mormora come il turismo, dati i risultati negativi sino ad oggi raggiunti con la spesa di danaro del contribuente, non dovrebbe essere più finanziato e lasciato in balia di se stesso.

Si dovrebbero costruire case popolari. La solita retorica da comizio, insomma. Ma nessuno di costoro pensa che con un turismo organizzato e controllato si potrebbe non solo recuperare il denaro speso, ma se ne potrebbe spendere tranquillamente dell’altro con la certezza di avere un interesse sul capitale molto elevato e costruire in seguito case popolari, scuole, teatri e circhi proprio con i proventi del turismo.

IL REALISMO

Direi che sarebbe preferibile fare il ragionamento della famosa serva e dire: se oggi vengono in Sardegna cinquemila turisti e si trattengono in media cinque giorni ciascuno di essi potrà spendere dieci mila lire, per cui in totale spenderanno cinquanta milioni, domani potrebbero arrivare cinquanta mila con una spesa singola uguale, per cui si verificherebbe un aumento della circolazione monetaria di mezzo miliardo.

Se la famosa serva potesse fare questo ragionamento con una certa serenità in un ambiente comprensivo (finanziariamente comprensivo) avrebbe a quest’ora cominciato con l’aprire una piccola locanda o un posto di ristoro stradale, uno di quei Motel che caratterizzano oggi le strade europee e americane.

E se in alto loco avessero idee un tantino chiare ripeterebbero il ragionamento e si organizzerebbero in modo che locande e taverne, sia pure gestite da semplici e intelligenti serve, potessero essere strettamente collegate in modo da palleggiarsi i turisti e costringerli – moderatamente si intende – a spendere.

Perché non basta il buon senso o l’iniziativa della buona serva. Perché costei, lasciata da sola, in breve chiuderebbe bottega e tornerebbe a servizio in città.

LA POLITICA

È la padrona che deve cominciare a ragionare, valutare le possibilità economiche nell’insieme, muovere i primi passi secondo un piano preciso e affrontare il problema nel suo campo naturale: quello del credito, che non dovrà essere – come oggi – ancorato, e immobile, alle spese di impianto, ma essere fluido, vivo, operante nell’esercizio; credito che potrà essere concesso con maggior larghezza di oggi e senza le sacrosante retribuzioni ottocentesche che impediscono all’isola qualunque sviluppo di attività private nuove ed efficienti. Politica creditizia che non può prescindere da quella che è la pianificazione turistica, pertanto controllata e controllabile.

Non vedo altra soluzione al problema. Si darebbe la fiducia alla privata iniziativa, si avrebbero le più ampie garanzie, e si potrebbe convogliare un movimento notevolissimo di forestieri in Sardegna.

*articolo pubblicato nel 1956 sul numero 11 della rivista Ichnusa