Credo che tutti dovremmo avvicinarci con deferenza ai Giganti, riconoscendo loro il merito di aver riportato la cultura, la storia e l’identità al centro del dibattito sardo.

Il problema è che ne discutiamo secondo tradizione: litigando, bistrattando, disconoscendo, ignorando e sottovalutando.
Esisteva una civiltà di Monte Prama? Stabilirlo spetterà agli studiosi.

È importante scoprirlo? Potremmo dire che è vitale.

Perchè potrebbe rivelarsi così importante? Anzitutto per accrescere la nostra consapevolezza rispetto al passato.
Quel che siamo stati potrebbe aiutarci a capire che quel che siamo. Ma non solo. Ogni scoperta culturale rende migliori le persone.

E ogni attimo trascorso ad ammirare un manufatto del passato ci obbliga a confrontarci con la Grande Bellezza che il Signore ha donato agli abitanti di questa terra di Sardegna, troppo spesso deprezzata.

Ma non di sola bellezza vive l’uomo. Occorrerebbe, dunque, mettere a reddito tutto questo, prendendo esempio da altri, che in materia di capitalizzazione virtuosa delle proprie peculiarità storiche, naturali, paesaggistiche e ambientali rappresentano esempi che ci paiono inimitabili.

Per farlo bisognerebbe mettere in discussione il nostro modo di essere, sedimentato da abitudini, false comodità e paure che non vogliamo abbandonare.

Negli ultimi anni abbiamo lungamente parlato del modello di (sotto)sviluppo che non dovremmo più seguire e in tanti si sono affannati a incalzarci, pretendendo alternative credibili e non basate sugli onirismi da tastiera.

Partiamo dal chiederci quale potrebbe essere l’effetto moltiplicatore del fenomeno Giganti sulll’economia sarda.

Ne stiamo leggendo di ogni colore ma non abbiamo ancora trovato un’analisi che ci sottragga dalla disarticolata quotidianità fatta di annunci, denunce, contese e sostanziale immobilismo.

Se queste sono le premesse possiamo già ipotizzare quale sarà il moltiplicatore: un numero molto prossimo allo zero.

Perché? Per il semplice motivo che manca un’idea forte di sistema-Sardegna. In cui le scoperte archeologiche siano una parte dell’offerta che dovremmo essere capaci di indirizzare al mercato globale del turismo, della cultura, della scienza e della ricerca.

Finché il progetto non sarà basato su una connessione tra le risorse naturali, umane e imprenditoriali della Sardegna non faremo grandi passi avanti.

Il sole e il mare hanno bisogno di servizi di qualità, nel rispetto dell’ambiente e del paesaggio. I siti archeologici e i loro itinerari dovrebbero essere non invasi dalle erbacce, abbandonati e depredati, ma inseriti in un circuito messo a disposizione di viaggiatori consapevoli.

La nostra gastronomia non dovrebbe essere annacquata e disconosciuta e dovrebbe poter fare riferimento quasi esclusivamente a prodotti autoctoni e stagionali. Perché la pastorizia moderna è e può essere sempre di più la vera forza di questi anni.

I nostri operatori turistici, culturali, informativi dovrebbero essere adeguatamente formati, non secondo un malinteso senso della “servitù” ma rendendoli consapevoli che la gentilezza, il sapere, la predisposizione a fare sacrifici nei confronti dei clienti non è un atto di sottomissione ma un libero contratto: io offro un servizio e in cambio ricevo dei soldi.

Come avviene in ogni altro ambito della vita contemporanea. In questo quadro l’istituzione della carta dei diritti del turista sarebbe un bellissimo segnale da lanciare ai mercati, valorizzandolo con un’adeguata opera di marketing.

Da un sistema virtuoso può essere escluso un trasporto aereo e marittimo efficiente, sicuro, frequente, a prezzi concorrenziali col resto dell’Europa?

E si può, in quest’ambito, far a meno di una rete interna di trasporti e di una viabilità non dico eccellente ma degna dei Paesi civili?

Si può rinunciare a presentare ai visitatori città, campagne, coste e zone interne pulite e non disseminate di rifiuti, coperte da erbacce o, peggio, bruciate da insensati piromani?

La cultura del bello e del pulito è essa stessa un moltiplicatore di interesse, basti pensare a quali sono le nostre reazioni da turisti, quando ci troviamo lontani dalla Sardegna: per molti di noi è la prima cosa da notare e raccontare.

Abbiamo tanto da mettere in mostra e tramandare: le nostre tradizioni, il nostro folclore, i nostri artisti, i nostri uomini di cultura, i paesi dei nostri centenari, una civiltà nuragica che è fin qui esclusivamente mostrata sui libri e praticamente nulla sul campo.

Servirebbe un grande polo museale e a questo proposito sarà forse utile ammettere che sul Betile abbiamo un po’ tutti sbagliato, partendo da quelli del “no a tutti costi” e continuando con chi voleva calare quella scelta dall’alto.

Come sempre, a contos male fattos, si bi torrat.[/fusion_builder_column][/fusion_builder_row][/fusion_builder_container]