Abbiamo più volte parlato, persino nei pochi giorni di vita di questo luogo di confronto fisico – pur in un mondo virtuale – di una Sardegna diventata (o rimasta) terra di conquista, intesa come consumo del territorio, per vecchie e nuove intraprese legate allo sfruttamento delle risorse naturali.
Iniziative spesso impattanti dal punto di vista ambientale, capaci di trasferire oltremare i benefici economici sostanziali e di produrre ben poco benessere nel circuito occupazionale isolano, per non parlare di prezzi e tariffe.
A questo quadro di sostanziale dipendenza va aggiunta un’analisi che, nella sua semplicità, risulta imbarazzante. A classificare la Sardegna degli anni Duemila come semplice entità geografica, in una più ampia cartina degli equilibri socio-politici ormai non solo nazionali ma continentali, è la presa d’atto della perdita di asset centrali per ogni sistema produttivo.
Vogliamo partire dal credito? Da tempo l’Isola non può più contare su banche che, a seconda dei cicli economici, svolgano una funzione “sociale” di stimolo e governo della nascita, del supporto, persino del salvataggio di aziende centrali per il tessuto connettivo imprenditoriale del territorio.
Il Banco di Sardegna, che pure resta un importante punto di riferimento per molti risparmiatori, è da tempo finito sotto il controllo dell’emiliana Bper, il Cis (nato con lo scopo di supportare e tutelare il sistema delle imprese) è sotto l’egida di Banca Intesa. E persino alcuni dei più noti marchi sardi non sono da tempo “autonomi”.
Qualche esempio? La birra Ichnusa è di proprietà del colosso Heineken, il mirto Zedda Piras e i vigneti Sella&Mosca sono stati acquisiti dalla Campari, e di altre prossime cessioni si parla a proposito di alcune eccellenze nel settore agroalimentare. E allora non c’è davvero da stupirsi se tutti gli indicatori economici ci parlano di un tracollo che è persino più marcato rispetto a quello italiano.
I settori una volta trainanti (soprattutto l’industria) vanno verso l’azzeramento, i servizi risentono della fase recessiva e i prestiti bancari hanno inevitabilmente subito una forte contrazione. È un sistema al collasso, che non potrà reggere a lungo se la politica non avrà il coraggio di fare scelte draconiane a proposito dei rapporti (e del conflitto) col governo centrale.
Finché, nei fatti, la Sardegna resterà un’entità geografica a disposizione non solo del sistema globalizzato ma anche degli egoismi dello Stato, non c’è alcuna speranza di invertire il trend. Occorrerà rassegnarsi allo spopolamento (che è, infatti, ormai dato per scontato da tutti gli istituti di statistica che si occupano di fare proiezioni demografiche), al “servaggio” (per dirla con lo storico pensatore indipendentista Antonio Simon Mossa) e alla perdita di ogni minima autonomia.
È soprattutto per questo che l’intera politica isolana è chiamata a un atto di coraggio e di indipendenza dalle casamatte centraliste.
Conosco abbastanza bene il mondo del credito sardo e sufficientemente bene quello imprenditoriale dell’isola. Ho letto tante, tantissime, troppe analisi… Ma al di là delle analisi… Ognuno propina la sua… Poche sono le soluzioni proposte…
Una volta individuato il male e misurata la febbre, quale la cura?
Caro Direttore,
la “cura” in campo economico non va certo cercata nell’autonomia o (peggio) autarchia con improbabili imprese sarde capaci di far tutto.
Ben vengano i capitali dall’esterno e le imprese che vogliono realmente realizzare attività sostenibili e coerenti con quello che la Sardegna può essere: una splendida Isola, dal clima, dai sapori e dal paesaggio fantastico, sicura e … con l’aggiunta di tutto quello che oggi manca e su cui un serio governo sardo dovrebbe lavorare per innescare un cilco virtuoso:
1. Collegamenti aerei e marittimi anche poco sotto quello che già hanno le vicine isole baleari (senza andare troppo lontano), incluse ovviamente le connessioni con le principali città europee
2. Corporate Tax veramente competitiva: gli esempi di altre isole o della stessa Irlanda non mancano. Cosa crede che possa spingere un’azienda a localizzarsi ed investire in un luogo piuttosto che in un altro? E non stiamo certo parlando di industria inquinante, ma di servizi (inclusi quelli bancari ad arricchire l’offerta, la competizione e le condizioni per i clienti) o aziende innovative o “tecnologiche” o semplicemente ad elevata concentrazione di assets immateriali.
3. Infrastrutture moderne, pienamente compatibili con il paesaggio che uniscano agevolamente il nord con il sud, l’est con l’ovest e il centro della Sardegna. Con l’aggiunta di tutto ciò di bello e sostenibile che possa farsi per migliorare la mobilità interna e la possibilità di godere della bellezza e della vera ricchezza dei paesi di tutta la Sardegna.
4. Popolazione perfettamente bilingue: oltre al sardo, le generazioni che verranno dovranno sapere parlare l’inglese di livello quasi pari alla prima lingua.
5. Ospedali, scuole, amministrazione pubblica veramente moderne e di livello pari a quello delle principali capitali europee, con reale semplificazione delle norme e assoluta applicazione e rispetto di quelle in vigore
6. Imprenditorialità diffusa: Ducato, Ducato e Ducato questo dovrà essere insegnato nelle scuole tra le materie più importanti per migliorare la probabilità di successo nella vita dei futuri cittadini e lavoratori
7. Sistema Sardegna: siamo un’isola e a mala pena conosciuti (anche solo geograficamente) in europa come tale. Al di fuori dell’europa, siamo un puntino nella carta geografica. Come farci conoscere allora? Abbiamo in giro per il mondo una delle principali risorse della Sardegna che non utilizziamo per niente o peggio la utilizziamo giusto per distribuire soldi in maniera del tutto inefficace: i nostri emigrati! Hanno fatto furore in giro per il mondo. Conoscono la realtà di quei paesi e sono pieni di consigli e contatti per le imprese sarde. Anche di seconda o terza generazione, mantengono l’identità!
Saluti
Ottimi propositi. A parte la lingua, non perché sia contrario, ma perché mi sentirei un pesce fuor d’acqua… Inadatto a parlare idiomi diversi dall’italiano.
Scherzo!
Aggiungerei una programmazione di filiera con incentivazione fiscale per la creazione di società multifunzionali, affinché le merci (immagino soprattutto quelle agricole, ittiche e di allevamento) abbiano un accompagnamento fino alla tavola del consumatore, fin dal momento in cui sono prodotte.
Una politica di marketing che guardi oltre Tirreno e che pubblicizzi al meglio il brand Sardegna.
Una politica creditizia che attinga a piene mani ai fondi comunitari e alle leggi che consentono garanzie pubblicge (dello Stato, dirette, a prima richiesta), di modo che anche il mondo del credito sia incentivato all’investimento per via dei minori accantonamenti in bilancio.
Incentivazione dell’associazionismo delle piccole entita locali, per consentire una maggior capacità di intercettare le varie opportunità offerte dalle norme comunitarie e/o regionali, ed una maggior penetrazione propositiva nei confronti di altre realtà che oggi si rivolgono a fornitori che hanno sede oltre Tirreno.
Maggior partecipazione del capitale, anche pubblico nelle attività imprenditoriali ad elevato contenuto tecnologico e ambientale, sfruttando la leva fiscale, la cui entità potrebbe anche essere commisurato al reale beneficio economico e/o ambientale conseguito o prospettato.
Agenzia regionale di formazione ed informazione per la redazione di progetti imprenditoriali che, se opportunamente tarati sulle esigenze del territorio che intendono servire e ritenuti di elevato contenuto economico, potrebbero beneficiare di finanziamenti ad hoc, anche parzialmente a fondo perduto.
Sistema capillare di informazione e formazione rivolto al mondo agro-pastorale.
Credo che le idee non manchino, forse ciò che ci fa difetto è la volontà di fare.
L’autoarchia prospettata da alcuni movimenti politici fa pendant con la nostra genetica propensione a vedere il male solo ed esclusivamente oltre le nostre coste.
Saluti
Concordo Vittorio: non mancano le idee. Forse più della volontà di fare, a mio modestissimo avviso mancano le persone: intendo dei Giganti in grado di avviare un progetto così forte e difficile, ma assolutamente necessario per invertire il trend negativo in cui siamo quasi da sempre.
L’iniziativa del Direttore è lodevole, la passione per la Sardegna che lo anima è incredibile. Credo però che abbia bisogno dell’aiuto di tanti 😉 e, in particolare, di persone come lei che dimostra di conoscere molto bene i temi che commenta e ui quali ha la grande capacità di avanzare proposte concrete. Complimenti!
Saluti
Ringrazio.
Io credo che su questo tema, che reca il titolo SARDEGNA, sia finalmente necessario essere estremamente severi ed onesti, in primo luogo con sé stessi. A che serve, mi chiedo, un elenco anche denso di ottime idee e buonissimi propositi e spunti, se poi questi buoni propositi non vengono esposti nel dettaglio, con tanto di progetti di fattibilità e se gli stessi non si sposano con la volontà di fare e con la possibilità stessa di realizzarli? Resterebbero lì, su un foglio di carta o sul monitor di un computer a far bella mostra di sé. È questo ciò che ci serve? Abbellire una vetrina. Non serve ad altro che beccarsi qualche complimento sul Web. A che serve, mi chiedo, produrre continue analisi delle problematiche che attanagliano la nostra isola, se poi queste analisi, anche ben congegnate, restano lì, in vetrina a far bella mostra delle capacità di analisi del suo autore, senza che sfocino in proposte e in atti concreti? A questo serve il blog su cui scriviamo? Il trend negativo imboccato non si inverte riempiendo il web di parole, ma creando una rete di comunicazione e informazioni che deve sfociare in un progetto operativo. Ecco, bravi a scrivere, tutti, compreso me, ma il progetto dov’è? Che ne facciamo domani di tutte queste belle cose ed intelligenti cose che buttiamo qui dentro? Se tanto si ama la Sardegna da immaginare di poter fare qualcosa per il suo bene, forse prima delle analisi e delle risposte ‘risolutive’ sarebbe opportuno, necessario e utile costruire un progetto.
Che fare?
Saluti
Mi scuso con tutti per questo intervento lungo di analisi e Statistiche…(senza numeri).
Le lacune sono di chi ha pensato troppo al lavoro, senza pensare ad una strategia di difesa del credito.
Non abbiamo ben capito se ci sono verità non dette nello stesso Statuto della BCE ma ci fanno credere che sia solo un fatto di finanza, quando e’ invece un fatto di cultura; ci fanno il lavaggio del cervello per farci credere che i soldi stampati dalla BCE servano alle famiglie ed alle imprese, quando invece servivano e sono utilizzati per salvare le banche, che a loro volta hanno salvato (a caro prezzo) gli Stati.
Gli stessi Stati che si sono esautorati a vantaggio dei banchieri, del controllo dell’unico bene necessario a tutte le imprese del mondo: la moneta.
Una delle verità non dette è che, la vera battaglia, è per il controllo della moneta.
Condotta e vinta (battaglia badate bene, non guerra) da una ristretta cerchia finanziaria, ceti possidenti e grandi trust finanziari che hanno organizzato in modo silente il cambiamento del modello economico.
Se non si comprende quel che e’ successo a livello mondiale, alzando lo sguardo, staremo sempre a discutere di ladri di polli nel nostro cortile.
A livello mondiale é successo che la politica é stata destituita dal potere di controllare la moneta e quindi la finanza. È stato creato artificiosamente, un modello economico basato sul rigore, sul sacrificio, sulla scarsità di risorse e sulla disoccupazione che potenzia all’infinito, il potere di chi detiene il denaro e il controllo monopolistico della moneta. Quella strada che e’ la strada di una Europa della moneta e non dei popoli, e’ solo la strada della finanza; farà arricchire di tanto, pochi, in relazione alla sempre maggiore disoccupazione e disperazione di molti. Un modello basato sulla colonizzazione, sulla dominazione, sulla prevaricazione del più forte sul più debole, mediante il controllo della conoscenza e della finanza.
Ecco perché io non credo alla ripresa economica: non si può uscire da un modello studiato per intrappolare le persone come criceti in gabbia.
Non perché la finanza non sia capace di risolvere i problemi.
Perché non ha alcun interesse a farlo; la finanza non è morale o etica, non ragiona di equità o del bene e del male, la finanza ragiona di bilanci e di numeri.
Questo modello economico: la finanza egemone rispetto alla produzione ed alla politica e monopolista della risorsa denaro, non ci farà uscire dalla crisi semplicemente perché non é suo interesse farlo.
Non é aver competenza e onestà, che si danno per cose scontate; vi è la necessità di un qualcosa che non s’impara sui libri e non si rispetta per paura dei tribunali, ma qualcosa di profondo, di ancestrale. Qualcosa che viene da dentro, che si possiede.
Si chiama coraggio. E identità, anche col segno della matita copiativa.
Se, in sostanza, dal 4 dicembre possiamo rischiare di diventare insulari dell’insularità italiana; col segno d’identità disegnato dalla matita copiativa sulla scheda elettorale, magari, assisteremo al risveglio di quel sentimento ancestrale!
Tutto dipende dalle persone e dalla loro voglia di difendere, sempre, la propria libertà.
“…Scegliti il pezzo d’Italia che puoi ancora salvare e inventa un modo per formarlo: nelle strade, nelle scuole, nelle università, ovunque sia possibile…”
Buon pro vi faccia.