Ciao Anthony, condivido solo in parte ciò che hai scritto nell’articolo sui “Sì” che dobbiamo dire, a proposito della nostra filiera dell’agroalimentare.

Ad esempio per me, e ne ho discusso abbondantemente con amici e colleghi, il fatto che i culurgionis d’Ogliastra siano un IGP rappresenta una vittoria, anche se concordo con loro sul fatto che il disciplinare presenta alcune pecche.

Perché una vittoria? Finalmente questo elemento distintivo e unico della cultura gastronomica sarda viene conosciuto oltre mare e ha un bollino europeo.

In Italia ci sono quasi 300 prodotti food tra DOP e IGP, solo 8 sardi, compresi i neonati culurgionis: preferisco vedere il bicchiere mezzo pieno e auspicare che per i prossimi prodotti certificati chiamino dei consulenti migliori e soprattutto mettano d’accordo le esigenze dei piccoli produttori artigianali e delle PMI.

Che poi le nostre industrie, paragonate a quelle che ci invadono con i loro tortellini di plastica, siano poco più di laboratori è bene ricordarlo: ma c’è anche da dire che cosiddette ‘industrie locali’ danno lavoro ai sardi.

Ci vuole tutto sul territorio: aziende familiari, cooperative, piccole e medie industrie agroalimentari.

Ma è corretto pretendere sempre di più: sono per le filiere sarde al 100%, anche perchè abbiamo giovani e terre in abbondanza, e anche fondi.

I bandi del PSR sono partiti ma le aziende aderiscono con fatica, ed è su questo che ti invito ad indagare e a ragionare: leggerò con piacere le tue riflessioni.

Le cause della scarsa capacità di molte aziende di fare rete, di consorziarsi, di fare delle innovazioni intelligenti un vessillo, di aprirsi al marketing e alla comunicazione 2.0, di fare dei siti web decenti, di progettare e-commerce coerenti ed efficienti, di partecipare a eventi internazionali, di fare veri consorzi, vere comunità del cibo, di crescere, aprirsi, di essere pià consapevoli del fatto di possedere saperi locali straordinari e un patrimonio enogastronomico di pregio: questi sono tanti dei problemi.

Da giorni combatto contro il luogo comune de “su filindeu”, il cui etimo popolare e’ “fili di Dio”. Ma l’etimo scientifico è tutt’altro: la parola deriva da fidaws, arabo, radice di fideua, fides, findeus, fidelini. Ci sono fonti medievali e moderne che lo attestano e autorevoli studiosi! Purtroppo, però, l’etimo “vox populi” è finito sulla BBC, sul Corriere, e si continua a scriverlo dappertutto.

Sapere la storia e la cultura de “su filindeu” gioverebbe alquanto al prodotto stesso, ma spesso queste cose sono liquidate come poco importanti.

Cosi per “sa casada”, il colostro ovino con zucchero e buccia di limone, che ho avuto il piacere e l’onore di far diventare prodotto PAT, lo scorso anno, insieme a un Comune lungimirante e a una brava produttrice.

Si fa in tutte le case dei pastori, da sempre, ma non era ‘considerato’ un prodotto tradizionale. Cosi mi vengono in mente almeno altri 100 prodotti!

Ci sono tantissime cose da fare: rimbocchiamoci le maniche.

Bisogna incentivare sì le produzioni locali ma ancora prima bisogna fare un cambio di mentalità consistente, dare valore a ciò che la Sardegna custodisce, al patrimonio agroalimentare, imparare a essere più uniti, guardare alle nuove tecnologie con curiosità, fare innovazione intelligente in azienda, e formare gli imprenditori.

C’e’ posto per tutti, proprio perchè sull’Isola consumiamo molto più di quello che produciamo. Senza voler essere più realista del re, ho apprezzato il tentativo di debellare la peste suina da parte di questo governo regionale, per poter finalmente esportare i salumi sardi senza se e senza ma.

Spero vada a buon fine, lo dico da continentale che vive felicemente sull’Isola da 23 anni, perchè le produzioni sarde si meritano di essere conosciute; ritengo però che siamo tutti corresponsabili della situazione non felice in cui versa il settore primario.

I politici sono una nostra espressione, li abbiamo eletti noi, quindi cerchiamo di fare tutti la nostra parte.

 

* Ph.D. University of Siena,

Coordinatrice corso di specializzazione in Food Experience, IED.